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È trascorso quasi un mese dalla scomparsa di uno dei più importanti protagonisti del vino italiano degli ultimi decenni. Quel Giacomo Tachis che amava definirsi come un “semplice mescolatore di vini”, capace di dare alla luce alcuni dei più importanti rossi non solo della Toscana. Se infatti il suo nome viene automaticamente associato a etichette “sacre” come quelle del Sassicaia, del Tignanello, del Solaia altrettanto rilevante è stato il suo contributo in altre regioni italiane. Basti pensare al pluripremiato Turriga, Cannonau capace di accendere i riflettori su tutta la tipologia e più in generale sulla Sardegna. O al Pelago, uno dei vini più ambiziosi mai pensati nelle Marche, e al San Leonardo, forse il più prestigioso dei tagli bordolesi prodotti in Italia. Fino allo straordinario lavoro portato avanti in Sicilia sul Nero d’Avola, rosso capace durante gli anni 90 di oltrepassare i confini nazionali diventando uno dei vini italiani più conosciuti e apprezzati nel mondo. Tutto ebbe inizio negli anni 60 quando, poco più che trentenne, iniziò a lavorare per gli Antinori, in Toscana. Un periodo di grande fermento, era da poco stata superata la mezzadria e la viticoltura regionale era caratterizzata da una qualità media piuttosto bassa. In quel contesto Giacomo Tachis seppe ammodernare senza stravolgere, le sue furono innovazioni che se da una parte guardavano alla Francia e a Emile Peynaud, uno degli enologi più importanti del bordolese, dall’altra riuscivano a mantenere un fortissimo legame con il territorio in cui si trovò a lavorare. Il Tignanello nacque nel 1970, primo di una lunga serie di vini di successo. Un rosso che grazie ad alcune felici intuizioni avrebbe cambiato le regole del gioco per i decenni a venire: la scelta di non usare quelle uve a bacca bianca previste dal disciplinare del Chianti Classico ma anzi di introdurre a fianco del sangiovese una piccola percentuale di varietà francesi, l’utilizzo delle barrique in fase di maturazione e il prezzo, altissimo per quello che allora era un semplice “vino da tavola”. Una vera e propria rivoluzione che spianò la strada non solo a un gran numero di vini, quelli che la rivista americana Wine Spectator anni dopo avrebbe definito “supertuscans”, ma anche a un nuovo modo di pensare il vino italiano, finalmente pronto a quel salto di qualità capace di portarlo sulle migliori tavole del mondo.Tenuta San Guido, Castellare di Castellina, Argiano, Tenuta Guado al Tasso e più in generale tutte le realtà della Famiglia Antinori sono solo alcune delle cantine che Giacomo Tachis ha seguito nel corso della sua straordinaria carriera di enologo. Tra tante altre a queste si affiancano Donnafugata in Sicilia, Punica e Argiolas in Sardegna, San Leonardo in Trentino. Tutte aziende capaci di produrre vini di incredibile spessore, bianchi e soprattutto rossi che hanno fatto la storia dell’Italia del vino.

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