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I vitigni autoctoni italiani più importanti: storie di vini indigeni

Di Redazione


La prima domanda che sorge spontanea parlando di vitigni autoctoni è: ma perché prima non se ne parlava tanto?

Se prima il vino si beveva molto più in base alle denominazioni e dunque parlavamo di “Barolo”, “Bordeaux” o “Brunello di Montalcino”, oggi la domanda iniziale prima di comprare un vino è “con quali vitigni è prodotto?”

E quindi cos’è successo, cos’è questa new wave di “vitignofili” amanti dell’autoctono?

Cambiamento climatico, biodiversità, unicità
Negli ultimi vent’anni il gusto medio dell’appassionato di vino è cambiato radicalmente. Se negli anni ‘90 andavano alla grande i rossi strutturati, dalle evidenti note boisé, dal 2000 in poi, prima con la wave dei biologici e dei biodinamici e poi con quella, tuttora in corso, dei naturali, si è affermata una tendenza opposta.

Quale?
Quella dei vini prodotti senza chimica e anche con meno enologia, i vini creati più in vigna che in cantina.
E “più in vigna” comprende anche l’utilizzo dei vitigni autoctoni di cui parliamo appunto oggi. Molti più vini monovitigno (autoctono), molta più territorialità e rappresentatività nel calice del territorio che ha dato vita al vino.

Cambiamento climatico

Ma la causa è anche un’altra, legata al cambiamento climatico. I vitigni autoctoni, in quanto tali, si sono abituati da secoli al clima di una particolare zona e sono capaci di resistere meglio all’aumento della temperatura media e alla siccità, mentre vitigni abituati a climi più miti, come lo Chardonnay, faticano molto di più.

Un mercato più locale

C’è poi anche un discorso di unicità. Nel 2024 qualsiasi settore del mondo enogastronomico è ormai globalizzato, dagli oli prodotti con uve extra-UE alla pasta da grani australiani. Proprio per questo la domanda dei consumatori si orienta sempre di più su prodotti che siano realmente dei rappresentanti di un territorio e i vini prodotti da vitigni autoctoni sono l’esempio perfetto di questo trend.

A questo punto siamo pronti per passare in rassegna i protagonisti di questo articolo, i vitigni autoctoni italiani più importanti (in un secondo episodio parleremo invece di quelli riscoperti e salvati dall’estinzione da vignaioli visionari).

I vitigni autoctoni italiani più importanti: i rossi

Stilare una lista del genere senza menzionare il trio magico del veneto sarebbe da parte nostra una caduta di stile.

E quindi iniziamo proprio da loro:

Corvina, Molinara e Rondinella

Li mettiamo tutti insieme questi vitigni perché, eccetto rare eccezioni (comunque interessanti), sono sempre vinificati insieme per dare vita alle denominazioni più importanti del Veneto in rosso: Amarone, Ripasso e anche Bardolino!

La Corvina ha origini incerte ma si ritiene sia coltivata nella zona da molti secoli. È un vitigno che ben si adatta all'appassimento, processo chiave per la produzione dell'Amarone. Conferisce ai vini un colore rosso rubino intenso, sentori fruttati e floreali, buona struttura e acidità.

La Molinara, anch’essa autoctona e in passato molto più diffusa, è stata via via sostituita da varietà più produttive. Aggiunge ai vini che produce note speziate e una piacevole freschezza.

E la Rondinella? Il nome deriverebbe dalla forma degli acini simili a rondinelle, è il partner perfetto della Corvina. Apporta delicati aromi fruttati e floreali e aiuta ad ammorbidire il vino.

DOC da provare?

Bardolino DOC - la chicca del Lago di Garda, un rosso leggero, vivace e fruttato, con note di fragola, ciliegia e una piacevole sapidità. Perfetto compagno di un aperitivo in riva al lago o al mare, va giù che è una meraviglia e una bottiglia chiama l’altra.

Sangiovese

Sangue di Giove! No, non ci è caduta una bottiglia di Sassicaia in terra, Sanguis Jovis è il probabile nome originario del vitigno rosso preferito di ben due regioni: Toscana e Romagna.

La prima menzione del vitigno da parte di un agronomo è quella del Toderini (siamo nel XVI secolo) che lo chiama “Sangiogheto”. La teoria non ufficiale è che il vitigno fosse già noto ai Latini e forse già agli Etruschi.

vigneti sangiovese


Partiamo dalla Toscana, dove i vigneti di Sangiovese spaziano tra ben 6 province: Arezzo, Firenze, Pistoia, Pisa, Prato e Siena.

Il Sangiovese toscano produce vini di straordinaria eleganza e longevità, con profumi complessi di frutti rossi maturi, spezie, tabacco e sottobosco. Al palato si presenta corposo ma equilibrato, con una trama tannica fitta e un finale persistente. Il sangiovese è oltretutto il vitigno che dà vita ad alcuni dei migliori Super Tuscan (da pronunciare rigorosamente come si legge: S-u-p-e-r-T-u-s-c-a-n).

Saliamo in Romagna, dove il nostro Sangiovese è coltivato su un vasto territorio che comprende numerosi comuni delle province di Forlì-Cesena, Ravenna, Bologna e Rimini. Qui il vitigno dà vita a vini di grande struttura e complessità, con note fruttate intense e tannini eleganti. Le versioni Riserva e Superiore rappresentano il top della qualità.

DOC da provare?

Vino Nobile di Montepulciano DOC - Assolutamente da non confondere con il Montepulciano d'Abruzzo! Qui siamo sempre in Toscana e il vitigno principe è il Sangiovese, chiamato localmente "Prugnolo Gentile". Vini aristocratici, potenti e longevi, dai profumi intensi di frutti di bosco, cuoio e spezie dolci.

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Aglianico

E qui giù il cappello, perché siamo dinanzi al re dei vitigni autoctoni del mezzogiorno. La prima menzione del vitigno non risale come vorrebbero alcuni all’epoca greca ma al XV secolo, perché sappiamo che un tale conte di Acquaviva-d’Aragona ottenne la proprietà di terreni vitati con “uve aglianiche”.

L'Aglianico trova la sua massima espressione sui terreni di origine vulcanica del monte Vulture in Basilicata, ad altitudini comprese tra i 200 e i 700 metri sul livello del mare. Qui, il clima arido estivo, le forti escursioni termiche e i suoli ricchi di tufo vulcanico contribuiscono a donare alle uve concentrazione, complessità aromatica e un'ottima acidità.

Anche in Irpinia, nella zona collinare della provincia di Avellino, l'Aglianico beneficia di condizioni pedoclimatiche favorevoli. I vigneti, situati ad altitudini tra i 400 e i 700 metri, godono di buona ventilazione ed elevata luminosità. I suoli argillosi e calcarei conferiscono ai vini struttura, longevità e un caratteristico sentore minerale.

Dal punto di vista organolettico, i vini Aglianico si distinguono per l'intenso colore rosso rubino, i profumi fruttati di bacche rosse e prugna, cui si aggiungono sfumature speziate e balsamiche.

Al palato spiccano la buona acidità, i tannini decisi ma vellutati, la struttura importante e l'ottima persistenza. Sono vini longevi, che evolvono splendidamente nel tempo.

DOC da provare?

Taurasi DOCG - da molti considerato il “Barolo del Sud”, il Taurasi è in realtà un vino a sé, elegante, profondo e con un finale interminabile. ha note di frutti di bosco, violetta e un’acidità perfettamente complementare alla struttura.

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I vitigni autoctoni italiani più importanti: i bianchi

Iniziamo dal vitigno innominato, o meglio innominabile se non con il suo nuovo nome, imposto da una direttiva UE. Hai capito di chi stiamo parlando?

Friulano (ex Tocai)

Quella del friulano è una storia che definire caotica è un eufemismo. Per quasi tutta la sua storia il vitigno non si chiamava né Tocai né Friulano, ma Sauvignonasse!

Non sappiamo ancora come questo vitigno, quale che fosse il suo nome, sia arrivato in Friuli, secondo alcuni dall’Ungheria (improbabile visto che non ha alcuna parentela genetica con i vitigni a bacca bianca magiari) o dalla Francia, dove appunto esisteva il Sauvignonasse (che è originario della zona della Gironda), che però oggi sopravvive solo in…Cile!

Sia come sia, ai primi del ‘900 il vitigno cambia nome in Tocai (in Veneto detto Tai).

Se avete un po’ di dimestichezza con i vini bianchi non italiani, conoscerete sicuramente il Tokaji ungherese, che però è ben altra cosa, visto che non è un vino secco ed è prodotto da vitigni diversi. Nonostante la diversità, l’Ungheria ha a più riprese chiesto la modifica del nome del vitigno friulano, fino a quando nel 2008 la Corte di Giustizia Europea non mette fine al contenzioso, dando ragione al Tokaji. E da allora il nostro vitigno si chiama Friulano, sì come la regione e sì non è esattamente un naming originalissimo (gli Sloveni del Collio Brda lo chiamano fantasiosamente Jakot che altro non è che Tokaji al contrario).

Detto del nome, che tipo di vitigno è il Friulano? Come sono i vini a cui dà vita?

Territorio d’elezione è ovviamente la Campania! Spoiler: scherzavamo. Ovviamente è il Friuli, ma soprattutto il Collio Friulano, dove l’ex Tocai si esprime al meglio. Ma anche il Veneto produce interpretazioni interessantissime, da provare (vedi sotto).

Probabilmente alcuni dei vini più interessanti degli ultimi anni se parliamo di bianchi. Profumi floreali inebrianti, seguiti da frutta a polpa gialla che evolve, soprattutto nelle versioni più agé, in sentori di crema pasticcera. L’aggettivo perfetto per i vini a base di Friulano è “voluttuoso”. Da non trascurare le versioni Orange, dove la componente aromatica spicca ancora più forte e la macerazione permette ai vini di affinare anche oltre i dieci anni.

DOC da provare?

Veneto Tai IGT - vera e propria chicca enologica, abbraccia un territorio piuttosto ampio, che comprende le province di Verona, Vicenza, Padova, Treviso e Venezia. I vigneti di Tai trovano la loro massima espressione sui terreni collinari di origine vulcanica, caratterizzati da una buona presenza di minerali e microelementi.

Vini dai profumi fruttati di pesca, albicocca e agrumi, arricchiti da delicate note floreali di acacia e ginestra. In bocca si apprezzano la freschezza, la sapidità e l'ottima struttura, con un finale leggermente ammandorlato.

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Pecorino

Vitigno autoctono italiano che nasconde una storia affascinante e un po' misteriosa. Nonostante il nome possa trarre in inganno, questo vitigno non ha nulla a che vedere con l'omonimo formaggio.

Il termine "Pecorino" deriverebbe dalla particolare predilezione delle pecore, e in Abruzzo non sono poche, per i suoi grappoli, particolarmente dolci e zuccherini.

La sua origine esatta è incerta, ma si ritiene che il Pecorino sia originario delle zone appenniniche del Centro Italia. L’areale di diffusione iniziale è infatti quello dei Monti Sibillini e oggi è diffuso in particolare delle Marche e dell'Abruzzo e dunque un autoctono al 100%.

vigneti pecorino marche


Qui, il vitigno ha trovato il suo terroir d'elezione, esprimendosi al meglio sulle colline ben esposte al sole e dai suoli argillo-sabbiosi.


I vini prodotti da Pecorino si caratterizzano per il colore giallo paglierino brillante, con riflessi dorati. Al naso spiccano i profumi di frutta esotica, come ananas e mango, arricchiti da note floreali di gelsomino e ginestra. In bocca colpiscono l'ottimo equilibrio tra freschezza e sapidità, la buona struttura e la persistenza aromatica, con un finale ammandorlato.

DOC da provare?

Offida Pecorino DOCG - bianco marchigiano di grande eleganza e personalità.
I vigneti di Pecorino vengono coltivati sui pendii collinari della provincia di Ascoli Piceno, beneficiando del clima mite e ventilato del versante adriatico.
I vini di questa denominazione si distinguono per la finezza aromatica, l'ottima mineralità e la spiccata longevità.

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Falanghina

Un vitigno autoctono antichissimo, che affonda le sue radici nella storia enologica della Campania. Si ritiene infatti che il suo nome derivi dal latino "falangae", ovvero i pali di sostegno utilizzati nell'allevamento delle viti a pergola, un sistema di coltivazione diffuso fin dall'epoca romana.

Ma la Falanghina non è un vitigno unico, bensì una famiglia di varietà strettamente imparentate tra loro. Le più importanti sono la Falanghina Flegrea, coltivata nei Campi Flegrei, e la Falanghina Beneventana, diffusa nel Sannio.

Queste due varietà, pur condividendo il nome, presentano caratteristiche ampelografiche e organolettiche differenti, frutto della loro adattamento a terroir e climi diversi.

I vini della zona Flegrea sono marcatamente minerali mentre quelli del Sannio seducono con sentori di pesca, albicocca e note floreali, soprattutto di ginestra.

DOC da provare?

La Falanghina Flegrea trova la sua massima espressione nella DOC Campi Flegrei, una piccola denominazione che abbraccia i territori vulcanici a nord-ovest di Napoli. Qui il vitigno viene coltivato sui suoli di tufo giallo e pozzolana, che conferiscono ai vini una spiccata mineralità e una grande freschezza. I vini DOC Campi Flegrei Falanghina si caratterizzano per i profumi di agrumi, fiori bianchi e una sottile nota sulfurea, retaggio dei terreni vulcanici.

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