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La storia del Brunello di Montalcino: l'invenzione geniale di un garibaldino

Di Chiara Bolzani


Siamo in Toscana, nella Val d’Orcia. Qui tra cipressi, ulivi e colline soleggiate si erge un borgo medievale, tra i più suggestivi ed evocativi della Toscana. Siamo a Montalcino, una fortezza con le sue casette arroccate e le sue mura di pietra dove ancora oggi si respira aria di dame e cavalieri.

Oggi questo borgo è la patria di uno dei rossi più famosi della penisola: il Brunello. Ma prima dell’invenzione di questo vino ormai leggendario, nella zona era molto popolare e diffuso il “Moscadello di Montalcino”, un vino bianco dolce da accompagnare, probabilmente, ai Cantucci.

Sarà solo a partire dalla seconda metà dell’800 grazie alla genialità della famiglia Biondi Santi, che a Montalcino inizierà una vera e propria rivoluzione enologica (in abbinamento con un’altra rivoluzione, quella dei Garibaldini).

vista di Montalcino


L’inizio della leggenda: l’invenzione del Brunello di Montalcino


Che il vino in Toscana sia una tradizione è fuor di dubbio. Abbiamo numerose testimonianze della sua produzione in grandi numeri già nel medioevo. Senza contare che nel Rinascimento i banchetti erano copiosamente annaffiati da vini toscani di vario tipo, secchi e dolci (come il Moscatello di cui abbiamo parlato prima).

Eppure, tutto cambia a metà dell’800, quando un giovane e intraprendente farmacista, decise che era ora di svecchiare una tradizione ormai secolare e inventarsi un nuovo vino. Ecco che quindi entra in scena Clemente Santi, noto farmacista, chimico ed esperto di scienze naturali, proprio di Montalcino.

La storia del Brunello di Montalcino inizia da qui

Nel 1840 Clemente Santi fonda la "Tenuta Il Greppo” a due chilometri a sud della città di Montalcino, su una collina dai fianchi ripidi e scoscesi da cui deriva il nome "Il Greppo", che significa proprio “fianco brullo e scosceso di un monte o collina”.

Qui Clemente inizia a coltivare un particolare tipo di Sangiovese, il Sangiovese grosso, battezzato in seguito “bruno” e poi “brunello” per via del suo colore appunto scuro e intenso.

grappoli di sangiovese


Ma Per quale motivo si focalizzo’ sulla coltivazione di un particolare tipo di Sangiovese? Fu una semplice un’intuizione?

Clemente nota che soprattutto in questa particolare area, intorno alla roccaforte di Montalcino, questa particolare uva, dava ottimi risultati e produceva vini in grado di invecchiare senza perdere nerbo, ma anzi di migliorare con l’età. Dopo diversi esperimenti e tentativi Clemente riesce finalmente a raccogliere i frutti del suo lavoro rivoluzionario.

Come?

Presentando nel 1869 il suo “vino rosso scelto (Brunello) del 1865” alla Fiera Agricola di Montepulciano.

La grande sfida di Clemente Biondi Santi è proprio quella di presentare un vino di quattro annate precedenti!

Ai tempi una rivoluzione, un’idea senza precedenti.

Un vino lasciato riposare per 4 anni prima del consumo era inusuale e quasi fuori dalle “regole”, per non dire folle.

Basti pensare che proprio in quegli anni si stava facendo strada tra i vini tipici anche il Chianti, grazie al Barone Bettino Ricasoli e alla sua “formula” che ancora oggi detta il disciplinare del Chianti Classico.

Nel 1872 Ricasoli scrive:

“… mi confermai nei risultati già ottenuti nelle prime esperienze, cioè che il vino (Chianti) riceve dal Sangioveto la dose principale del suo profumo (a cui io miro particolarmente) e una certa vigoria di sensazione; dal canajolo l’amabilità che tempera la durezza del primo, senza togliergli niente del suo profumo per esserne pur esso dotato; la malvagia, della quale si potrebbe fare a meno per i vini destinati all’invecchiamento, tende a diluire il prodotto delle due prime uve, ne accresce il sapore e lo rende più leggero e più prontamente adoperabile all’uso della tavola quotidiana”.

Il Chianti si differenzia nettamente dal progetto di Clemente, in quanto frutto di blend di diverse uve e con lo scopo primario di essere consumato subito.

cantina brunello di montalcino


Vinificare in purezza


Ed eccoci alla seconda grande rivoluzione portata da Clemente Biondi Santi:

creare un vino prodotto da monovitigno da invecchiare, niente assemblaggi, ma solo Sangiovese grosso in purezza.

Clemente Biondi Santi è stato il primo a comprendere l'austerità e la necessità del Sangiovese di essere domato dal tempo, con un affinamento di qualche anno prima della messa in commercio.

Puoi immaginare come ai tempi un’idea del genere fosse presa come una provocazione, una stravaganza, una sfida contro ogni consuetudine e principio economico dell’epoca.

Questo perché allora la regola per i vini italiani e soprattutto per i vini rossi toscani era: assemblaggio di uve diverse e consumo dei vini prodotti il prima possibile.

Nel 1885, Clemente passa il testimone a Ferruccio Biondi Santi che da lui ereditò non solo la passione per la viticultura e l'enologia, ma anche la tenuta di famiglia, quella che sarebbe diventata a breve la Biondi Santi.

Lo zampino di Ferruccio


Abbiamo visto come Clemente abbia posto le fondamenta della leggenda del Brunello. Ma a Ferruccio dobbiamo tutta una serie di “trovate” che hanno reso il rosso toscano di Montalcino insuperabile.

Unità di famiglia e unità d’Italia

Ferruccio è il nipote prediletto, colui che più di ogni altro membro della famiglia ha portato avanti il credo e il lavoro del nonno. La prima decisione è quella di unire i due nomi di famiglia, creando l’azienda Biondi Santi.

Ma in Italia, in quel momento, il vino era l’ultima delle preoccupazioni, siamo infatti nel 1866, negli anni in cui a passi svelti il paese stava finalmente raggiungendo l’unità tanto voluta da Mazzini e da Garibaldi.

E Ferruccio non sta a guardare, indossa la camicia rossa e combatte con i Garibaldini nella battaglia di Bezzecca durante la Terza guerra d'Indipendenza.

Da questa esperienza il nipote di Clemente si porta dietro audacia e voglia di andar contro uno stato di cose insoddisfacente e finalmente nel 1888 riesce ad imbottigliare ed etichettare la prima bottiglia di Brunello di Montalcino di Biondi Santi.

Altri Brunelli e l’arrivo della fillossera

L’idea dei Biondi Santi inizia a piacere e così altri produttori della zona già alla fine del 1800 iniziano a produrre il “Brunello”, qualche nome: i Cinelli Colombini con la Fattoria dei Barbi, i Padelletti, i Paccagnini.

Torniamo a Ferruccio, che messa da parte la camicia rossa da garibaldino, torna alla passione di famiglia: il Sangiovese, continuando a sperimentare nei vigneti di famiglia fino ad identificare il tipo di Sangiovese perfetto. Un’attività di selezione resa ancora più importante dall’arrivo in Italia della fillossera, piccolo parassita che ha però giocato un ruolo da gigante (in negativo) nella storia mondiale del vino, causando un vero e proprio sconvolgimento nelle vigne di tutta Europa.

Breve parentesi: cos’era la fillossera?

La fillossera era un piccolo insetto arrivato in Europa dalle Americhe a bordo delle merci che viaggiavano da una sponda all’altra dell’oceano.

Al suo arrivo nel vecchio mondo la fillossera iniziò a decimare decine di specie vinicole, devastando interi raccolti e portando tantissime varietà autoctone sull’orlo dell’estinzione.

Per ovviare al problema fu importata in Europa la vite americana - non attaccata dalla fillossera - che fungeva da portainnesto, mettendo le radici su cui poi si innestavano le viti europee, che “poggiandosi” sull’innesto americano, producevano poi i propri frutti.

L’attacco dei cloni: il BBS/11: Brunello Biondi Santi n°11

Anche Montalcino non fu risparmiata dalla fillossera e anzi, per i Biondi Santi fu questa la sfida più importante. In due generazioni la famiglia era riuscita a dare vita a un vino rivoluzionario, che però rischiava di sparire.

Ferruccio riesce però a reimpiantare il suo vigneto con i cloni di quel Sangiovese grosso che aveva fatto le fortune della famiglia Biondi Santi.

Ci riesce innestando i cloni su viti americane resistenti alla fillossera. Nasce così il “clone BBS/11” (Brunello Biondi Santi, vite n°11).

Saranno i primi produttori ad aver dato il nome ad un clone d’uva di proprietà.

L’affermazione di Ferruccio e del Brunello di Montalcino

Ferruccio negli anni rimane fedele alla visione e ai metodi di vinificazione del nonno continuando a produrre vino monovitigno 100% Sangiovese, e continuando a puntare forte sulla longevità del vino piuttosto che sul fare soldi facili vendendo subito l’imbottigliato, quindi: invecchiamento di 4 anni, in botti di rovere che Ferruccio sceglie personalmente e che tutt’ora vengono utilizzate nella Tenuta.

Con quasi un secolo d’anticipo introduce un’ulteriore tecnica enologica: seleziona solo i grappoli migliori riducendo le rese per produrre vini rossi di corpo pieno, ricchi di estratti e di acidità (la tecnica oggi nota come “vendemmia verde”).

Il lavoro di Ferruccio non passa inosservato e nel 1932 il Ministero delle Politiche Agricole lo dichiarerà ufficialmente l’inventore del Brunello di Montalcino: "una creazione recente del dottor Ferruccio Biondi Santi di Montalcino".

Siamo dunque ai primi del ‘900 e ormai il Brunello e l’area di Montalcino sono a pieno diritto astri in ascesa del panorama enologico italiano.

C’è fermento e intraprendenza e tra i produttori di Montalcino e si inizia timidamente a fare promozione.

Nel 1931 la Fattoria dei Barbi invia delle lettere a medici e avvocati presentando il proprio vino, confidando che un target dalle tasche e, probabilmente, dai gusti più allenati, potesse apprezzare i pregi del Brunello.

I Biondi Santi non stanno a guardare einviano delle bottiglie di Brunello negli States e in altri paesi per promuovere i propri vini.

Persino la Regina Elisabetta era appassionata di Brunello e anche in epoca repubblicana il vino è sempre tra gli invitati d’onore alle cene diplomatiche, soprattutto da quando nel 1969 l’allora presidente della Repubblica Saragat lo scelse in occasione di una cena all’Ambasciata Italiana a Londra.

migliori annate brunello


Dal passato al presente: che vino è oggi il Brunello di Montalcino?


Nel 1994 Franco Biondi Santi organizza una storica ed esclusiva degustazione verticale di 15 annate di Brunello Riserva, dalla 1888 alla 1988.

Una degustazione leggendaria, riservata a pochi eletti tra giornalisti, enologi, critici, tutti unanimi nel dire che anche le annate più vecchie erano ancora in splendida forma. Riassumendo più di cento anni di storia, potremmo dire che la scommessa di Clemente e Ferruccio ha pagato eccome.

Basti pensare che ancora oggi la famiglia conserva gelosamente diverse annate storiche fra cui 2 bottiglie della mitica annata 1888

Le caratteristiche organolettiche del Brunello

Il Brunello di Montalcino è un vino di grande struttura e complessità.

A seconda dell’annata, se cioè è più o meno giovane, varia nel calice da un rosso rubino luminoso ad un rosso granato.

All'olfatto il bouquet è intenso ed elegante ed evolve continuamente: fiori delicati e spezie dolci, nuance di rosa e viole appassite, dai frutti di bosco alla vaniglia, dalle spezie al cuoio, dal tabacco al cacao, poi resina, tabacco e sottobosco.

All’assaggio conquista con un tannino elegante che si mantiene vivo a lungo, cesellato e ammorbidito dagli anni di affinamento. Il gusto è strutturato e persistente. Il Brunello ha classe e tensione, è classico, aristocratico e al contempo aggraziato e austero.

Con cosa accompagnare il Brunello?

Il Brunello è l’accompagnamento ideale per primi dai sughi corposi, succulente carni rosse alla griglia e formaggi stagionati dal sapore intenso e deciso.

Un vino rosso ricco, complesso, da grandi occasioni.

Gran finale: dalla DOC, alla DOCG fino alla conquista del West

Nel 1966 è tra i primi 8 vini in Italia a ricevere la Denominazione di Origine Controllata. Sempre tra i primi, nel 1980, nasce la MontalcinoDOCG, il cui disciplinare riporta i dettami molto rigidi, ovviamente della famiglia Biondi Santi, custodi di una delle innovazioni più geniali nel mondo del vino italiano.

La consacrazione del Brunello di Montalcino non arriva solo dall’Italia, ma anche oltreoceano.

Il nostro Brunello è premiato per ben 69 volte da “Wine Spectator”, la prima volta nel 1988 - al centesimo anniversario della prima bottiglia!

Dagli anni ‘80 in poi possiamo dire senza paura di esagerare che il nostro Brunello di Montalcino entra nello “stardom” dei vini mondiali, diventando oggetto di culto e araldo dell'eccellenza italiana soprattutto negli States.

Proprio in quegli anni un giovane enologo, Ezio Rivella, scommise sul territorio e grazie anche alla collaborazione della famiglia Mariani di Banfi, sarà l’artefice del consolidamento della popolarità e della qualità del vino italiano più premiato e acclamato al mondo. Ma questa è un’altra storia!